Importante espressione del territorio e veicolo di turismo, ma anche storia e tradizione contadina. Vi riassumo le caratteristiche che fanno grandi i vini dell’Irpinia
Con le sue 3 DOCG, l’Irpinia è una delle zone vitivinicole più vocate d’Italia. Il microclima e il territorio collinare rappresentano elementi fondamentali per dar vita ad espressioni enologiche che rendono famoso questo territorio in tutto il mondo, tanto da rappresentare senza ombra di dubbio il primario attrattore turistico provinciale.
Come detto tre sono le Denominazioni di Origine Controllata e Garantita che rappresentano l’eccellenza vitivinicola irpina.
A partire dal Greco di Tufo DOCG, prodotto in soli 8 comuni (Tufo, Petruro Irpino, Chianche, Torrioni, Montefusco, Santa Paolina, Prata di Principato Ultra ed Altavilla Irpina). Da qualcuno definito “Un rosso vestito di bianco” per via dei tannini spiccati e la grande longevità (da circa un anno è stata difatti resa ufficiale la versione “riserva”, oltre alla possibilità di realizzare il “Greco di Tufo Spumante”), si tratta di un vitigno coltivato in un territorio molto ristretto, nella valle del fiume Sabato. La caratteristica del territorio è la forte mineralità, dato che qui risiedono miniere (famose quelle di Tufo e di Altavilla Irpina).
Le cantine non sono moltissime, tuttavia ogni azienda vitivinicola (o quasi) in Irpinia ha appezzamenti in uno di questi 8 comuni in modo da poter fornire la propria espressione aziendale di quello che unanimemente viene considerato uno dei migliori bianchi italiani. L’impianto di questo vitigno sul territorio risale alle metà del ‘600, il suo sviluppo ha visto un’impennata nell”800, per poi ottenere un’ulteriore spinta nel 2007, quando ha appunto acquisito la certificazione DOCG. La mole di produzione è in forte, costante aumento, lasciando tuttavia inalterata la straordinaria qualità del prodotto. Nel 2023 sono state prodotte circa 5 milioni di bottiglie.
Altra espressione di pregio della viticoltura locale è il Fiano di Avellino DOCG, un bianco molto differente dal precedente (meno secco e con una gradazione alcolica tendenzialmente inferiore), che può essere coltivato in un territorio formato dai comuni di Avellino, Lapio, Atripalda, Cesinali, Aiello del Sabato, Santo Stefano del Sole, Sorbo Serpico, Salza Irpina, Parolise, San Potito Ultra, Candida, Manocalzati, Pratola Serra, Montefredane, Grottolella, Capriglia Irpina, Sant’Angelo a Scala, Summonte, Mercogliano, Forino, Contrada, Monteforte Irpino, Ospedaletto D’Alpinolo, Montefalcione, Santa Lucia di Serino e San Michele di Serino. La grande vastità del territorio (ben 26 comuni compresi sostanzialmente tra il Partenio e il Terminio) comporta ovviamente espressioni di questo vino talvolta molto diverse tra loro in cui la costante è rappresentata dalla presenza di un terreno argilloso.
Vitigno di antichissime origini, di cui si parla già nel XIII secolo, in origine venne introdotto a Lapio, e prima che se ne commercializzasse la versione “ferma”, veniva fatto in casa nella versione dolce, protagonista a fine pasto dei pranzi importanti. La produzione è in costante crescita a partire dagli anni ’90, grazie ad una richiesta sempre maggiore, soprattutto dall’estero, soprattutto da quando, era il luglio del 2007, ha ottenuto la massima certificazione europea quanto a denominazione.
Nel 2023 la produzione di questo tipo di vino si è attestata intorno a 3 milioni di bottiglie.
Il Taurasi DOCG prende il nome dall’omonimo paesino della valle del Calore. È un vino rosso che si ottiene da uve aglianico (con la possibilità di taglio per un 15% da altri vitigni a bacca rossa non aromatici) e prevede un invecchiamento di almeno tre anni, di cui uno con passaggio obbligato in botti di legno.
Il territorio è posto sulla dorsale appenninica e può orientativamente essere localizzato attorno al corso del fiume Calore, con terreni che arrivano fino a 700 metri di altitudine. Oltre al paese da cui prende il nome, il Taurasi DOCG si produce nei territori di Bonito, Castelfranci, Castelvetere sul Calore, Fontanarosa, Lapio, Luogosano, Mirabella Eclano, Montefalcione, Montemarano, Montemiletto, Paternopoli, Pietradefusi, Sant’Angelo all’Esca, San Mango sul Calore, Torre Le Nocelle e Venticano.
Tanti episodi importanti caratterizzano la storia di questo vino. Per esempio, da Taurasi partirono i treni carichi di uva aglianico che nel 1928 aiutarono i produttori piemontesi, toscani e francesi a realizzare i loro richiestissimi vini, dato che la fillossera aveva distrutto le coltivazioni di quelle zone. Un forte incremento allo sviluppo del Taurasi si è avuto a seguito dell’apertura (1878) dell’istituto agrario di Avellino, voluto da Francesco de Sanctis ed attualmente a lui dedicato, con cui l’aglianico è stato oggetto di numerosi studi protesi alla sua salvaguardia e che gli ha consentito oggi di essere ancora in auge, gareggiando alla pari con i più altisonanti rossi strutturati d’Italia. È un vino dal grande corpo, strutturato, da abbinare a piatti importanti, ancor più nella sua versione “riserva”. È stato tra i primi vini ad ottenere la DOCG in Italia (1993) e il primo nel Centro-Sud.
Per il 2023 si contano circa 1 milione di bottiglie di Taurasi DOCG prodotte.
Lo stesso territorio del Taurasi DOCG, arricchito di qualche paese limitrofo (Melito Irpino, Grottaminarda, Chiusano di San Domenico, Villamaina, Nusco, Gesualdo, Torella dei Lombardi) è lo scenario per una delle due etichette irpine riconosciute come DOC: il rosso Irpinia DOC Campi Taurasini, per dirla banalmente una specie di vino intermedio tra l’aglianico irpino e il Taurasi DOCG. L’altra DOC, realizzabile in tutti e 118 i comuni della provincia di Avellino, è l’Irpinia DOC, denominazione che riguarda varie tipologie di vino che rientrano nell’intera provincia di Avellino.
Non va dimenticato che l’importanza odierna del vino in Irpinia è il retaggio di un’intensa e produttiva attività umana fatta in passato, oltre che di una vocazione territoriale legata a altitudine, esposizione, natura dei terreni, clima, ecc.. Lo testimonia il fatto che addirittura alcune modalità di coltivare la vite, come il sistema avellinese (o raggiera avellinese) e l’alberata taurasina hanno nomi tipicamente nostrani. Queste colture, peculiari dell’Irpinia, sono state quasi totalmente soppiantate da tecniche più moderne e forse redditizie, aiutate anche dai disciplinari che hanno imposto determinati standard. Basti pensare all’importanza della Coda di Volpe (che in Irpinia alberga da tempo immemore): essa coabitava in passato nelle vigne a bacca bianca insieme alle piante di Greco e di Fiano, anche perché utili nel blend finale (per cui era consentito l’utilizzo di coda di volpe fino al 15%).
Con la perdita di tali caratteristiche, le vigne con piante miste e l’onnipresenza della coda di volpe (specie nella valle del Sabato), sono oggi ridotte a mero ricordo, con la conseguente perdita, probabilmente definitiva, di alcune peculiarità che erano testimonianza del rapporto viscerale e diretto del contadino con la sua terra d’appartenenza.