Terremoto dell’Irpinia: la frattura indelebile e l’anima immutata

Carmine Cicinelli

Carmine Cicinelli

A 43 anni dal devastante sisma dell’Irpinia del 1980, il ricordo di quegli attimi che hanno cambiato per sempre il destino di una terra

Ogni evento epocale sancisce un “prima” e un “dopo”. Da secoli per esempio il trascorrere degli anni si conta considerando la venuta di Gesù: al di là del credo religioso, per tutti esiste un avanti e un dopo Cristo. In tempi più recenti, non solo per gli Stati Uniti, esistono due epoche, una prima e una dopo l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre. Sono attimi memorabili, in cui tutto cambia. Istanti che diventano una linea di demarcazione dopo la quale nulla è più come in precedenza.

Questo momento, questa linea, questo spartiacque per l’Irpinia è il terremoto del 1980.

Domenica sera, 23 novembre. Ore 19,34. Tra la fine della partita dell’Avellino, in casa contro l’Ascoli, e l’ora di cena. Il clima è stranamente caldo e il colore della luna è anomalo. All’improvviso un boato, poi la terra trema. Per 90 interminabili secondi. L’epicentro è nella Valle del Sele, tra Irpinia, Alto Salernitano e la provincia di Potenza. Una frattura che alla fine sarà lunga 60 chilometri e larga 15, una forza intestina che in Irpinia si incammina feroce dalla Serra di Conza fino ad Avellino. Devastando tutto. Senza parlare delle conseguenti frane, che successivamente interesseranno Calitri, Caposele, Senerchia e Calabritto.

I numeri parlano da soli: colpite 3 regioni, 687 comuni, 362.000 abitazioni con quasi 3000 vittime, 9000 feriti e circa 280.000 sfollati. Una intensità (magnitudo di 6,9 e X grado della scala Mercalli) che si avvertì, seppur marginalmente, in tutto l’Appenino, fino a Parma, per un’area interessata paragonabile alla superficie del Belgio.

Per chiunque abbia vissuto il dramma di quei momenti, compreso il sottoscritto, è impossibile dimenticare cosa si stesse facendo in quel preciso istante. E cosa sia accaduto nelle ore immediatamente successive. Il panico, l’ansia per i propri cari, le preoccupazioni su come passare la notte: tutte emozioni fortissime, fragorose e aggrovigliate.

Spesso mi chiedo come sia possibile che nonostante avessi due anni e mezzo di età i miei ricordi siano così nitidi. E la risposta sta proprio nella portata dell’evento stesso. Mi ricordo il modo arrangiato di passare la notte, in auto, in uno spiazzale solitamente isolato, affollato per l’occasione in quanto distante da qualsiasi edificio, potenzialmente tutti a rischio crollo. E poi l’impossibilità di comunicare, con le linee telefoniche intasate. Nei giorni successivi ci trasferimmo in campagna, a Bellizzi, nell’abitazione di parenti alla lontana. Ricordo la passeggiata dei giorni successivi per il centro di Avellino, tra le macerie della zona dell’Oblate, di via Nappi, di via Cascino. E poi il viaggio a Genova, dove rimasi per settimane (da altri parenti ancora), nel disperato tentativo dei miei genitori di sgombrare la mia mente dai brutti ricordi. Tentativo miseramente fallito.

Via Cascino – Foto tratta dal sito avellinesi.it

Le conseguenze di quei 90 secondi di terrore furono notevoli. Oltre che sul piano materiale, anche su quello sociale. Linee ferroviarie bloccate, comunicazioni allo sbando. L’Irpinia era isolata, l’Italia si spezzò in due. Così come si frammentarono migliaia di famiglie: qualcuno sotto le macerie, morto o disperso, i parenti a scavare, equipaggiati della sola disperazione, altri ancora in preda al panico, ad intasare le arterie che portavano lontano dal dramma. Scappavano per la paura che quell’attimo potesse tornare. Ed il pensiero era insopportabile.

Le prime, istintive reazioni portarono al caos, aggravato dall’assenza di coordinamento nei soccorsi.

Il sisma del 1980 fu un dramma in cui gli aiuti partirono con notevole ritardo. I tempi per organizzarsi sembravano interminabili, fino a quando gli italiani si mossero con generosità ma in totale autonomia, con mezzi e a spese proprie, in una gara di solidarietà tra le regioni italiane. Con la sola voglia di aiutare quella terra colpita nel cuore. Famoso in questo senso il discorso del Presidente Sandro Pertini, in un video alla nazione che fu insieme testimonianza del dolore vissuto nel sopralluogo del giorno prima e monito per un futuro di grande responsabilità nella gestione di quella immane catastrofe.

Un prima e un dopo, dunque. Il racconto del periodo che precede una catastrofe spesso è drogato dall’oblio, che riporta un quadro deprivato di tutti gli elementi negativi. Ma se è vero che riequilibrare la memoria troppo ottimistica del prima è un’operazione necessaria, allo stesso modo non si può non considerare il dopo in una maniera ampia e onesta. Ricostruzione, clientelismo, industrializzazione forzata: sono solo alcuni degli aspetti che hanno reso ancora più amara quell’immane tragedia che corrisponde al terremoto del 1980. Ma nonostante la geografia politica e molti equilibri siano cambiati, a distanza di tempo è possibile affermare che l’identità di questa terra non sia stata stravolta. Oggi l’Irpinia è ancora quella terra incontaminata, lontana dal caos, con tradizioni solide e dal fascino selvaggio. La vocazione rurale, la natura predominante, il patrimonio castellare, i panorami mozzafiato e l’ospitalità del suo popolo risultano pressoché immutate. Insomma se è giusto ammettere che molto è cambiato in questa terra, va detto anche che l’anima dell’Irpinia non è stata stravolta, per quanto da 43 anni solcata da una profonda, indelebile cicatrice.