La Pasqua in provincia di Avellino ha un nome e cognome: sopressata irpina. Vi svelo tutti i segreti e vi racconto un po’ di storia del salume irpino più tipico e conosciuto
In Irpinia non c’è Pasqua senza sopressata (rigorosamente con una sola “P”, dato che il prodotto è nostrano, paesano ed è dunque giusto nominarlo in dialetto).
La sopressata con una P viene realizzata in provincia di Avellino da tempo immemore, praticamente da quando macellare il maiale è diventata una consuetudine. Si tratta di uno dei prodotti più tipici dell’Irpinia, nato dalla necessità di conservare alcune le parti pregiate del maiale per lunghi periodi. L’affumicatura e la stagionatura sono le tecniche resesi necessarie dunque per preservarne il gusto e aumentarne la longevità.
Il processo di realizzazione parte tra gennaio e febbraio, quando secondo i dettami classici, i contadini tagliano al coltello alcune parti magre del maiale (culatello, prosciutto e la parte più centrale della spalla) e poi vi aggiungono del lardo tagliato a cubetti. Questo impasto, doverosamente salato e con l’aggiunta di pepe nero in grani, viene insaccato in budello naturale e poi legato a mano.
La sopressata così composta passa alla fase fondamentale dell’affumicatura, che avviene in locali appositi, dove (possibilmente con legno di quercia) questo insaccato subisce il processo per cui si trasforma da carne fresca a prodotto in equilibrio con l’ambiente circostante e che dunque non teme più lo sviluppo di agenti deterioranti.
Una volta conclusasi la stagionatura in appositi locali con la giusta ventilazione e umidità, l’aspetto è quello di un salume di circa 20 centimetri, dalla forma cilindrica ma schiacciata, di un colore tendente al rosso (occhio a quelle di un rosso però troppo carico: specie in quelle industriali questo colore può essere sinonimo di conservanti aggiunti) piuttosto tenace al taglio.
Il profumo di una sopressata irpina denota i sentori forti dell’affumicatura misti al profumo tipico del salume stagionato. Il sapore è genuino e intenso, non troppo salato (o almeno così dovrebbe essere), bensì delicato grazie alla presenza quasi esclusiva di tagli nobili del maiale nell’impasto. L‘abbinamento ideale è con un Irpinia Aglianico DOC o un Taurasi DOCG, a cui aggiungere rigorosamente la sapidità persistente e avvolgente di un caciocavallo irpino di qualità mediamente stagionato. Doveroso l’accompagnamento con un pane casereccio con cui la sopressata si sposa alla perfezione. Perfetto come antipasto (accompagnato spesso a uova sode), ha da tempo immemore un posto di primo piano nella pizza chiena pasquale.
Ma perché la sopressata si mangia proprio a Pasqua?
Dopo essere stato lavorato e messo a stagionare, il prodotto ha bisogno di un periodo tra uno e due mesi per essere gustato al meglio. Tuttavia la stagionatura della sopressata termina di solito nel periodo della Quaresima, ossia nei 40 giorni che precedono la Pasqua, quando secondo i dettami della religione cattolica non è- consentito mangiare carne. Ovvio, dunque che la sopressata diventi la vittima sacrificale di ogni Pasqua e Pasquetta irpina che si rispettino, quando terminata l’attesa, si può affettare, rigorosamente in obliquo e a fette non troppo sottili, ma soprattutto gustare questa delizia tutta irpina, al tempo stesso retaggio contadino e simbolo di un intero territorio.