Simboli, il Carcere di Montefusco

Carmine Cicinelli

Carmine Cicinelli

Montefusco è senza ombra di dubbio uno dei luoghi più affascinanti e ricchi di storia di tutta l’Irpinia. Il suo passaggio a Capitale del Principato Ulteriore, avvenuta nel 1581, ha rappresentato un evento storico che ha modificato per sempre le sorti di questo luogo. Rendendolo magnificamente pregno di storia, ma anche ricco di una sbalorditiva architettura urbana che ancora oggi lascia a bocca aperta.

Le scale per il piano inferiore

Un evento senza dubbio importante per la storia del paese è la presenza, fin dal XIV secolo, della Regia Udienza (una sorta di Corte d’Appello del Regno di Napoli), di cui il carcere di Montefusco rappresentò la naturale appendice in qualità di carcere giudiziario. Furono gli anni in cui il Tribunale di Montefusco sforna sentenze di condanna a morte: dopo essere stati portati in corteo, accompagnati dal boia, verso il luogo d’esecuzione corrispondente all’attuale Passo Serra, i condannati vengono giustiziati e poi squartati per essere esposti pubblicamente, come avvertimento per la popolazione, in quel lugubre crocevia sulla via Appia.

Nel 1806, con lo spostamento della Capitale del Principato ad Avellino, il carcere viene chiuso per essere riaperto, a seguito della restaurazione borbonica, nel 1815. Una nuova chiusura si accerta nel 1845, in concomitanza con la nascita del Carcere Borbonico di Avellino.

Panoramica della struttura “a cameroni”

Le sorti della struttura cambiano nel 1852, quando il Re delle Due Sicilie Ferdinando II di Borbone, nel tentativo di reprimere i moti liberali che spingevano verso l’Unità d’Italia, lo trasforma in “Bagno penale di prima classe”, ossia carcere di massima sicurezza destinato soltanto a detenuti politici. Tra questi ultimi, principalmente provenienti dalle zone di Procida, Ischia e Nisida, e tra cui si annoverano i patrioti Sigismondo Castromediano, il montorese Michele Pironti e Carlo Poerio, in molti entreranno a far parte successivamente del primo Parlamento dell’Italia unita.

È questo il periodo in cui il Carcere di Montefusco si guadagna il poco invidiabile nomignolo di Spielberg dell’Irpinia: per i prigionieri le già complesse condizioni climatiche e di umidità, nonché i metodi durissimi dei carcerieri e le condizioni igieniche precarie, vengono ulteriormente complicate dall’applicazione di alcune forme di tortura. Tra queste quella più tipica del periodo borbonico fu il puntale, una catena a 18 maglie che teneva incatenati i detenuti in una posizione anomala. Questa postura poneva gli incarcerati in una fortissima difficoltà costringendoli a stare perennemente accovacciati (in sostanza veniva impedita la possibilità a mani e piedi di distanziarsi sufficientemente per ottenere una posizione eretta). Il puntale, insieme alle stanghette (pezzi di legno che stringevano i malleoli fino allo stremo) fu la tortura tipica del periodo borbonico. In precedenza invece si preferivano quelle del moscone (consistente nell’inserire un insetto fastidioso – mosche o vespe – all’interno di una tuta sigillata che provocava un perenne tormento al malcapitato) o la lingua di capra (nella quale al detenuto, immobilizzato, venivano cosparsi i piedi di sale che venivano leccati da una capra fino al raggiungimento delle ossa).

Un originale “puntale”, tra gli strumenti di tortura più usati a Montefusco

Non a caso, alla struttura montefuscana viene dedicata la frase che recita Chi trase a Montefuscolo e po’ se n’esce, vuol dire che nderra nata vota nasce. A testimonianza di come soggiornare in questo carcere e poi uscirne vivo significava giungere ad una nuova vita.

La scelta di Montefusco come sede del Carcere di massima sicurezza per prigionieri politici deriva dall’ubicazione della cittadina stessa: in altura, relativamente lontana da Napoli, in un luogo dove la presenza di una popolazione sostanzialmente contadina, e dunque poco scolarizzata, rappresenta la condizione ideale per evitare possibili aiuti in caso di insubordinazione o tentativi di fuga.

Una volta unita l’Italia, dopo il 1861, il Carcere viene destinato ai detenuti che avevano partecipato a sommosse contro i Savoia, mentre dal 1877 questa struttura cambia la sua destinazione a carcere mandamentale. La sua chiusura definitiva avviene nel 1923 e cinque anni più tardi, complici le numerose vicende raccontate soprattutto dal Castromediano e dal Nisco, nonché le precedenti narrazioni dello storico locale Eliseo Danza (1584-1660), così importanti per ricostruire un pezzo fondamentale di storia dell’Italia Meridionale, lo rendono monumento nazionale (1928).

L’ingresso del piano inferiore, con l’accesso alle segrete

La struttura del carcere, ancora oggi visitabile nella sua totalità, si compone di due piani. Il piano superiore, raggiungibile dall’esterno tramite il cancelletto posto in concomitanza con l’ingresso al Municipio è detto cellulare perché formato da 5 celle, per un periodo adibite a stanze dei soldati.

Compromesso dal terremoto del 1980, ma adeguatamente ristrutturato (sono ancora visibili le travi e le inferriate originarie) questo livello è oggi sede espositiva di lavori e strumentazioni legate al celeberrimo tombolo, nonché di preziosi paramenti sacri.

La strumentazione per il tombolo

Al piano inferiore si accede tramite un’ulteriore scaletta, con la quale si raggiunge il livello delle segrete. È quest’ultimo sicuramente lo spazio più emozionate da visitare. Esso appare infatti sostanzialmente come una stanza unica, sormontata da archi in pietra. L’ampia sala, con una struttura detta a cameroni, è caratterizzata da finestre alte e inespugnabili, dalle quali traspare una luce fioca che rende davvero tetra l’atmosfera, complice anche il silenzio surreale.

Qui vivevano tutti insieme i detenuti nella loro pietosa quotidianità. Destinati, nei periodi di massima durezza, a muoversi sempre a due a due, legati da una catena che li univa indissolubilmente. Perfino l’ora d’aria, che pure c’era per alcuni di loro, consumata nello spazio antistante detto del vaglio, non consentiva la libertà di svincolarsi dal proprio compagno di sventura. La scarsa considerazione delle condizioni igieniche e ambientali portò inoltre a molte malattie, quali il tifo carcerario e la spinite (una particolare forma di artrosi che immobilizzava la spina dorsale).

I buglioli

A proposito di vita quotidiana, sono ancora oggi visibili i buglioli, servizi igienici rappresentati da una semplice buca ricavata nella pietra (una sorta di “bagno alla turca”), oltre al parlatorio, una doppia grata in ferro che dà sulla scala, dove una volta alla settimana i detenuti potevano incontrare i propri cari (esclusivamente consanguinei: dunque escluse le mogli, alle quali non era consentito l’accesso).

Attualmente il piano delle segrete, oltre alla possibilità di accogliere eventi, ospita le didascalie che descrivono con minuzia tutte le torture che venivano praticate all’epoca e le brevi biografie dei suoi più illustri “ospiti”. È inoltre possibile vedere un originale “puntale”, forse la più usata tra le forme di tortura di questo carcere.

Le grate del parlatorio

Nonostante un patrimonio artistico e architettonico di straordinario pregio che caratterizza il paese di Montefusco, la lunga e intensa storia del Carcere Borbonico lo rende indubbiamente luogo simbolo di Montefusco, oltre che uno dei luoghi imperdibili da visitare in Irpinia.

Per visitare la struttura è sufficiente prenotare una visita ai seguenti riferimenti:

Per visite dal Lunedì al Giovedì ed il Venerdì mattinaComune di Montefusco: 0825 96 40 03

Per visite Venerdì pomeriggio, Sabato e DomenicaPro Loco Montefusco: 0825 172 43 32

Per la mia visita al Carcere Borbonico di Montefusco ci tengo a ringraziare il Presidente della Pro Loco Daniele Taetti per la grande disponibilità, Gaetano Zaccaria per la generosità dimostrata, nonché Raffaele Barbieri, che mi ha guidato egregiamente, trasferendomi appieno la sua grande passione.