Il Carnevale in Irpinia è una cosa seria. Si potrebbe definire come la manifestazione antropologico-culturale che meglio rappresenta l’intero territorio. È una delle poche tradizioni che non risente del trascorrere del tempo e non soccombe al sopraggiungere della modernità. Il merito è dei suoi interpreti: gente comune, spesso riunita in encomiabili associazioni, con la ferma volontà di rendere immortale questa tradizione. Il principale motivo del suo perpetuarsi nei secoli è il forte radicamento delle comunità irpine a questi rituali, perché per molti il Carnevale è sinonimo di appartenenza e dunque di identità.
A differenza di altre manifestazioni culturali, spesso concentrate in zone specifiche (come i majo tipici della Bassa Irpinia o le feste del grano che si concentrano tra le valli del Calore e dell’Ufita), le tradizioni carnascialesche sono diffuse a macchia di leopardo, coinvolgendo moltissime comunità in tutte le terre d’Irpinia.
In molte realtà il clou dei festeggiamenti si concentra il giorno di Martedì grasso. Precedentemente però stanno assumendo sempre maggiore importanza i raduni, eventi che si tengono nei giorni precedenti il Martedì Grasso, uno su tutti quello della domenica di Carnevale, lungo il corso principale di Avellino.
Il range temporale dei festeggiamenti, come da tradizione, è comunque compreso tra la festa di Sant’Antonio Abate (a Teora per esempio) e la prima Domenica di Quaresima, quando si festeggia il cosiddetto “Carnevale morto”.

In provincia di Avellino, il Carnevale si manifesta in forme diverse a seconda delle tradizioni locali, tanto da poter parlare di veri e propri Carnevali d’Irpinia. Le celebrazioni si articolano tra carri allegorici, zeze, mascarate, lacci d’amore e intrecci, ma una classificazione rigida risulta complessa, poiché ogni comunità rielabora la festività in modo unico, spesso fondendo più espressioni insieme.
Ci sono comune per esempio, in cui la tradizione è così radicata da dar vita a molteplici interpretazioni dello stesso Carnevale. È il caso di Montoro, dove convivono ben quattro versioni differenti, portate in scena da gruppi delle frazioni Borgo, Piazza di Pandola, Banzano e Figlioli.
I carri allegorici
Un primo grande gruppo di carnevali irpini si incentra attorno all’allegoria dei suoi carri. I Carri di Carnevale rappresentano artisticamente sia tradizione che modernità e prevedono l’allestimento di grandi carrozzoni sormontati da rappresentazioni artistiche, realizzate da manovalanza e artisti locali. Quello coi carri allegorici è un modo di festeggiare il carnevale molto suggestivo, ma altrettanto impegnativo, tanto che i preparativi spesso iniziano addirittura un anno prima, subito dopo aver concluso l’edizione precedente.
In questa categoria rientra il Carnevale di Castelvetere sul Calore, uno dei più famosi ed antichi di tutta la provincia (risalente al 1638!). Carri, ma anche gruppi danzanti, coreografie e tanta musica, con la possibilità durante la visita al paese di vedere anche un Museo del Carnevale, che racconta l’evoluzione di questa sentita tradizione popolare attraverso vecchie foto e vestiti. Per un approfondimento sul Carnevale di Castelvere clicca qui.
Un vero cult per l’Irpinia sono i carri allegorici di Paternopoli, paese di buona tradizione, tra quelli più famosi. Dal 1982, con rare interruzioni, il Carnevale paternese da sempre attira migliaia di spettatori provenienti anche da fuori regione. La tradizione paternopolese va in scena la domenica e il Martedì grasso, ma anche la domenica successiva.

I carri allegorici come fulcro del Carnevale sono una tradizione anche a Carife, Sturno e Gesualdo.
Nel paesino della Baronia si assiste alla sfilata dei carri e dei gruppi mascherati che dalla centralissima Piazza San Giovanni invade tutte le vie del paese. La sfilata si conclude con la proclamazione del carro e della maschera più belli. La recente rinascita del carnevale sturnese, tornato ad esprimersi attraverso i suoi carri allegorici dopo molti anni, rammenta i fasti degli anni ‘80 e ‘90, quando figure come il professor Sarno e Rocco Apa erano i maestri dell’allestimento. Per Carife e Sturno, così come anche per Gesualdo, il Carnevale, per quanto sentitissimo, non assume i caratteri della continuità.
Carri allegorici sono presenti anche in altre realtà carnevalesche d’Irpinia, ma spesso come manifestazione secondaria o di accompagnamento a forme di festeggiamento di maggiore tradizione.
La Zeza
È certamente l’espressione più peculiare del carnevale irpino. Nonostante abbia origine nel 1600 a Napoli, la zeza si può considerare ad oggi una tradizione quasi esclusiva della provincia di Avellino, rappresentata in numerosi paesi, prevalentemente nell’hinterland del capoluogo.
La zeza è una rappresentazione teatrale, itinerante, divertentissima e suggestiva. Una piece teatrale inscenata in strada, accompagnati da una banda ed interpretata da attori occasionali (tutti maschi, anche per i ruoli femminili come nella tradizione del teatro greco antico). La zeza va in processione lungo le strade cittadine designate alla sfilata, fermandosi negli slarghi lungo il percorso per inscenare la commedia. La trama è incentrata su 4 personaggi principali: Pulcinella, sua moglie Zeza, la giovane figlia Porziella (o Vincenzella) e il suo pretendente Don Nicola (in alcuni casi Don Zenobio), a cui fanno da contorno altri personaggi secondari. La storia è quella di un matrimonio tra i due giovani, combinato dalla madre di lei ed osteggiata dal padre.
La rappresentazione è recitata e cantata, con un testo che è un perfetto mix tra uno storico canovaccio e l’improvvisazione. Nel suo cummediare, la zeza se ne infischia delle regole teatrali, come la prossemica o il fatto di volgere lo sguardo verso il pubblico (che d’altronde è assiepato tutto intorno), anzi l’interpretazione è concepita come un rituale in cui le figure comunicano solo tra di loro e non con il pubblico.
L’evento si conclude con la quadriglia, un ballo tradizionale di antichissima origine. I partecipanti si dispongono in due file contrapposte, una di uomini e una di donne. Dopo la fase di presentazione, si formano le coppie, che danno inizio a una serie di danze coreografiche.

Il carnevale di Avellino è rappresentato dalla zeza di Bellizzi. Da tempo immemore, nella frazione del capoluogo irpino tutti gli abitanti lavorano alla realizzazione della rappresentazione. Grande importanza è data ai costumi, realizzati dalle donne di Bellizzi e tramandate nei secoli, a cui si dà grande risalto con l’aggiunta di ornamenti vistosi e grotteschi.
Ai personaggi principali (Pulcinella, Zeza, Porzia e Don Zenobio), la zeza di Bellizzi associa altre quattro figure: Geronimo il pescatore, Cosetta la fioraia, Don Bartolo il giardiniere e i cacciatori. Fondamentale la figura del Capozeza (figura peculiare del carnevale di Bellizzi), che coordina il corteo, guida gli attori e dà i comandi nel classico francese maccheronico, impugnando la sua sciabola. È proprio il Capozeza che, per tramandare la tradizione alle generazioni future, accoglie tra i zezaiuoli i giovani del paese e alla fine del suo mandato decide chi sarà il nuovo Capozeza.
I festeggiamenti a Bellizzi si concentrano nella giornata di Domenica e Martedì Grasso: l’apertura è nella centrale via Giancola, mentre particolarmente suggestivo il finale, rigorosamente nell’anfiteatro della frazione avellinese, dove si tiene il mitico “zezone” che ogni anno di fatto chiude i festeggiamenti.
Nella longeva e ricchissima tradizione del carnevale mercoglianese (inserita nel Patrimonio culturale immateriale campano), e che conta circa 200 figuranti, la zeza è la punta di diamante di numerose altre manifestazioni carnevalesche. Nella Zeza di Mercogliano assistiamo a qualche caratterizzazione sui nomi (Pulcinella è detto Granturco, la moglie è Zeza Viola), nonché alla presenza dei personaggi secondari del marinaio (antagonista di Don Nicola) e di Don Fabrizio (il padrone dell’osteria presa in fitto da Pulcinella). Da Sant’Antonio Abate fino al Martedì grasso, la zeza si accompagna con la quadriglia che a Mercogliano è eseguita tramite il classico ballo intreccio (ballo con archetti sormontati da fiori), che viene guidato dal marinaio.

A Cesinali la zeza e la quadriglia sono accompagnati dalla cosiddetta galleria dei fiori, un corteo di archi fioriti che rappresenta la caratteristica principale. Tra i personaggi principali la sposa Porziella, promessa a Don Zenobio, e il marinaio.
La zeza e la quadriglia sono tradizione ultracentennarie anche a Capriglia Irpina, dove la classica rappresentazione carnevalesca assume un’importanza capitale per tutta la comunità. Lo testimonia la creazione di un “Comitato zeza” che porta avanti la tradizione attraverso uno sviluppo narrativo ampio, costumi molto curati e una

La zeza è protagonista del carnevale anche a Monteforte Irpino. Non Pulcinella ma Tatone. È lui, insieme a Don Nicola, Vincenzella e Zeza, uno dei protagonisti del carnevale montefortese, ritornato agli antichi fasti dopo la pausa forzata dovuta all’alluvione del settembre 2020 che portò via il materiale di allestimento e i ricordi delle vecchie edizioni.
Tradizione ultra decennale anche per la zeza di Montemiletto, con la classica “quadriglia fiorita”, la caratteristica presenza di archi ricchi di fiori. I personaggi sono quelli classici (Zeza, Pulcinella, Porziella, Don Zenobio e il Marinaio), mentre la fase della preparazione in particolare è molto attenta all’inclusione sociale. La zeza montemilettese (registrata come patrimonio immateriale presso la Regione Campania e il MIC) difficilmente esce dai confini comunali e vede il suo clou nella domenica di Carnevale e Martedì grasso.

Ad Ospedaletto d’Alpinolo la tradizione è relativamente antica (anni ‘70 del secolo scorso), ripresa negli ultimi anni grazie ad un’associazione locale. Il Carnevale ospedalettese si concretizza con la zeza, ma anche con il ballo ntreccio e la quadriglia, mentre per i bimbi fino agli 11 anni è prevista la tarantella napoletana (retaggio della forte presenza dei partenopei in pellegrinaggio a Montevergine). A fare da contorno al rito processionale, le figure della sposa, dello sposo, del prete e della monaca, oltre a tanti altri personaggi tra cui Pulcinella col suo carretto, il sindaco, il notaio, il giudice, lo schiattamuorto.
Uno dei quattro carnevali montoresi è quello di Banzano, che, nonostante anni fa si imperniasse sulla mascarata, oggi è particolarmente conosciuto per la presenza della zeza. Dell’antica mascarata banzanese rimane vivo l’elemento dell’intreccio diretto da due capidaballo e da un’orchestra che intona la tarantella con piatti, grancassa e rullante, ma senza ciaramella. Molto suggestiva anche la versione dell’intreccio interpretato da una folta schiera di giovanissimi banzanesi.

Oltre alla celebrazione della morte del Carnevale (probabile influenza della confinante Montemarano), è la presenza della Zeza a caratterizzare il carnevale di Volturara Irpina. I tarantellati sono un’istituzione del carnevale volturarese, nati dall’unione tra due gruppi storici: la Zeza di Cannone e della Zeza di Campagna. Il giorno antecedente il Martedì grasso, i tarantellati sfilano nelle campagne intorno a Volturara Irpina secondo l’antica tradizione che consentiva ai contadini (impossibilitati a partecipare alle celebrazioni del Martedì Grasso perché impegnati in campagna), di prendere parte attivamente al corteo carnevalesco. Tanto che per ringraziarli i tarantellati in passato ricevevano dai contadini dei prodotti della terra come ringraziamento.
Una tradizione secolare è anche quella di Candida. Riscoperta all’inizio del ‘900, la versione candidese della zeza presenta molti elementi originali. In primis il padre della sposa, denominato Caparrone, mentre la figlia è Vecenzella. Poi un’infinitò di personaggi secondari, tra cui da segnalare il medico arruffone Sbaccheman, la vecchia scandellata, il vicario scassato, il prete nzallanuto e il sacrestano fesso. Del tutto originali ovviamente anche i dialoghi della rappresentazione.
Carnevali in maschera
Altra forma di celebrazione del carnevale irpino è quella incentrata sull’uso prevalente delle maschere, in cui ricopre grande importanza l’atto del travestimento.
A Teora, li Squacqualacchiun rappresentano probabilmente la maschera irpina per eccellenza. Vestiti con abiti trasandati e muniti di campanacci, corrono per le strade facendo scherzi e spaventando la gente con movimenti caotici ed atteggiamenti irruenti. La nascita di questa figura si deve ad un connubio tra lotta contadina e ritualità religiosa legata al culto di Sant’Antonio Abate. Non a caso il carnevale teorese è uno dei primi a cominciare i festeggiamenti, a partire proprio dal 17 gennaio.

Altra importantissima maschera d’Irpinia è la pacchiana, divenuta simbolo della provincia di Avellino, ma originaria di Montecalvo Irpino. Rappresenta la donna contadina di un tempo, vestita con un caratteristico abito popolare: una gonna lunga e colorata, un corpetto ricamato e uno scialle sulle spalle. Immancabile il fazzoletto sul capo e il grembiule, spesso decorato con motivi floreali. Durante il Carnevale, la Pacchiana sfila per le strade del paese tra balli e canti popolari, incarnando lo spirito e l’identità contadina della comunità. Questa figura, semplice ma vivace, mantiene vive le tradizioni locali, ma rammenta anche uno dei primi movimenti di emancipazione femminile.

Di tutt’altra natura è la mascarata, la personalissima interpretazione del Carnevale tipica del comune di Serino. Qui, in particolare nelle frazioni di Rivottoli, Canale e San Biagio, altrettante associazioni portano avanti una rappresentazione del carnevale legata all’allestimento di un coloratissimo corteo. Il pretesto è la celebrazione di un matrimonio, i cui invitati, i belli e le belle, danzano a ritmi spasmodici salvaguardando il celeberrimo motivo musicale che accompagna le danze.
Ma soprattutto perpetrando le classiche maschere di questo carnevale: il prim’ommo (che apre la fila), le pacchiane e le mpacchiatrici (figure femminili, le seconde dotate di scuppetta), il pulcinella (dal classico cappello conico), i barbieri (sfrenato gruppo in camice bianco attrezzati con tutti gli strumenti tipici del mestiere) e la vecchiarella (la figura più tipica, con una vecchietta sovrastata da un energumeno che suona le nacchere). Tutti al seguito dello sposo e della sposa (la cui disparità fisica, lui minuto, lei gigante, sono un biglietto da visita esilarante).

Altrettanto chiassosa e sentita è la mascarata di Montoro. Nella frazione di Piazza di Pandola, il nutrito corteo (guidato dal Capintreccio) sfila per le vie del paese mostrando le sue figure più tipiche, da Pulcinella a cavallo della vecchia (foto in copertina), alla zingara, dall’orso e il cacciatore, al notaio, dal giornalaio alla vecchia con la conocchia. Una celebrazione molto antica, al punto da interessare antropologi ed etnomusicologi del passato e del presente.
Il carnevale in maschera forse più conosciuto, tuttavia, è quello che si tiene a Montemarano. Qui il mascherarsi, inteso come modo per ottenere il riscatto sociale attraverso il sovvertimento delle regole canoniche, raggiunge il suo apice. Non esiste montemaranese che non indossi un costume, né che si astenga dal partecipare all’estenuante rituale che va in scena dal 17 gennaio (a Montemarano è famoso il detto “Sant’Antuon’ mascher e suon’”), fino alla prima domenica di Quaresima, quando si assiste alla più sentita e partecipata Morte di Carnevale.
Nel Carnevale di Montemarano domina la celeberrima la Tarantella montemaranese, antichissima forma di danza ballata e suonata, in cui coppie di danzatori (detti “mascarate”) formano un corteo che attraversa il paese e coinvolge la cittadinanza e le migliaia di visitatori. Il corteo è aperto e guidato dalla figura del caporabballo, che col suo costume tipico ed il famoso “bastone del potere”, guida il corteo esortandolo a danzare senza sosta.

Il Ballo O’Ntreccio
Alle celebrazioni classiche carnascialesche, molti carnevali associano il Ballo o’ntreccio. È una danza tipica, di origine contadina, praticata da numerosi figuranti che imbracciano archetti variopinti con cui realizzano coreografie molto coinvolgenti e talvolta complesse. Divisi in coppie, eseguono gallerie e girotondi, con movimenti precisi e rapidi. Una vera e propria danza, che trova applicazione in tutta la provincia.
Dove l’intreccio è una vera istituzione è a Forino. Il Ballo o’ntreccio è la celebrazione peculiare con cui nel paese viene celebrato da decenni il Carnevale. Al ritmo di uno sfrenato rullante, i danzatori, perfettamente divisi tra uomini e donne, marciano in maniera ritmata, dando vita a splendidi intrecci con gli archetti fioriti. Strabiliante è la costanza di ritmo dei balli e l’eleganza dei danzatori, dominati dai colori del bianco, nero e rosso.

La forma celebrativa di Borgo di Montoro è quello della “Zeza co’ndreccio”. Presente un’imponente mascarata (con molte figure condivise con gli altri carnevali limitrofi del serinese e montorese), alcuni carri allegorici, la presenza della zeza, ma soprattutto l’intreccio. Quest’ultimo è guidato da due capintrecci, che aprono e chiudono il corteo, al suono di tarantella, dominata dalle percussioni e dalla fisarmonica, ma senza l’uso della ciaramella.
A Figlioli (sempre nel comune di Montoro), la tradizione anticamente prevedeva la presenza di carri allegorici costituiti da barche montate sul telaio di una bicicletta con a bordo i membri dell’equipaggio. Attualmente invece è l’intreccio, unitamente alla mascarata, a rappresentarne il fulcro dei festeggiamenti: un corteo itinerante che ogni anno sconfina anche nelle frazioni confinanti e la presenza anche di un carro allegorico.
Si pratica l’intreccio, come accennato, anche nei carnevali di Mercogliano, Banzano e Piazza di Pandola (Montoro), Ospedaletto d’Alpinolo.

Il laccio d’amore
Il laccio d’Amore è un’altra caratteristica manifestazione folcloristica che caratterizza il Carnevale in Irpinia.
Si tratta di una danza popolare, una coreografia eseguita intorno ad un palo che rappresenta al contempo la fertilità e l’abbondanza, ma anche l’arte del corteggiamento. Dal palo pendono ventiquattro nastri colorati, intrecciati da altrettanti figuranti (12 maschi e 12 femmine, a rappresentare i mesi dell’anno), tramite una danza sincronizzata al ritmo di musica.
Il palo al centro della coreografia è dominato da un cerchio che rappresenta il sole, da cui partono i fili che si intrecciano per formare figure geometriche davvero spettacolari: questi movimenti, in cui i protagonisti si intrecciano con gli altri rappresentanti del corteo, raffigurano l’interrelazione tra i 12 mesi dell’anno. Difficile intrecciare i fili con lo stesso ritmo, ancora più complesso ripetere i movimenti al contrario per disintrecciare la figura creata.

Il Laccio d’amore in molti casi è preceduto dalla quadriglia, guidata da un maestro attraverso comandi in francese maccheronico, orchestrata da una figura in particolare. I costumi di ogni quadriglia sono unici e si tramandano nel tempo: in questo modo si mantiene un’identità comunitaria che inoltre consente di distinguersi dagli altri paesi. Il cavaliere indossa i classici pantaloni alla zuava, con camicia bianca, gilet e fazzoletto attorno al collo, mentre la dama è vestita con camicetta bianca, corpetto e gonna lunga, con grembiule e calze bianche. Abiti sostanzialmente da popolano, che contrastano con quelli del maestro, che invece è più sobrio e solitamente vestito di scuro.
Detto anche ballintrezzo, è tipico in particolare del Vallo di Lauro e del baianese, per quanto eseguito anche in altri contesti, perfino fuori regione. Una buona tradizione del laccio d’amore è presente in particolare a Taurano, Avella e Pago del Vallo di Lauro.

A’ Ndrezzata
A Rotondi esiste una fortissima tradizione carnevalesca. La Quadriglia di Rotondi, in particolare, ha l’esclusiva di essere l’unica che prevede la presenza di uomini anche per i ruoli femminili. A Rotondi è viva anche la tradizione della zeza, anche se una forma autentica, originale e davvero suggestiva di celebrare il Carnevale è affidata alla cosiddetta ndrezzata.
La ndrezzata è un’antica danza tradizionale di buona parte della Valle Caudina, caratterizzata da movimenti coreografici molto ritmati e l’uso di bastoni di legno. Si tratta di un ballo guerriero che simboleggia lotta e armonia, eseguito da uomini e donne vestiti con costumi tradizionali. Durante la danza i partecipanti formano due file contrapposte che al ritmo dei tamburi si colpiscono reciprocamente i bastoni, seguendo movimenti precisi e cadenzati. Il tutto è guidato da un capogruppo che coordina i passi e i colpi.
Una versione davvero suggestiva di ndrezzata è messa in scena a Cervinara. Le origini della ‘Ndrezzata cervinarese sono antichissime, probabilmente legate alla celebrazione di una famosa battaglia cervinarese, in cui il ritmo sostenuto e incalzante prova a rimembrare l’ardore dei combattimenti. Confortante la forte presenza delle giovani generazioni, che garantisconno la perpetuazione di questa tradizione.

L’atto finale: la morte di Carnevale
L’atto conclusivo dei carnevali irpini riesiede nella celebrazione della Morte del Carnevale, in occasione della prima domenica di Quaresima, ossia la prima domenica dopo Martedì Grasso. Questo evento, tradizione di molte comunità, è una farsa drammatico-satirica in cui le comunità si organizzano per celebrare il funerale di Carnevale e la lettura del testamento. Ma quella del Carnevale morto è un’altra storia…