La storia di Vito Pagnotta e del suo birrificio agricolo è un inusuale mix di sperimentazioni, resilienza ed orgoglio contadino: un’eccellenza irpina da raccontare
Monteverde, Alta Irpinia. Terra di mezzo se ce n’è una: da qui si fa prima ad arrivare a Foggia che ad Avellino. E una delle strade per il capoluogo irpino passa addirittura per la Basilicata. Un territorio distante da tutto, dunque, eppure capace di trovare nelle proprie risorse la forza per emergere. Lo testimoniano i grandi riconoscimenti ottenuti dal paese, tra cui l’Access city award che lo ha consacrato nel 2019 comune più accessibile d’Europa.
L’audacia di osare, fiduciosi delle proprie conoscenze, deve essere una dote insita nel DNA monteverdese. Me lo ha confermato la storia di Vito Pagnotta, fondatore del birrificio Serrocroce. In una terra spesso associata all’emigrazione e al precariato, Vito un lavoro ce l’aveva, fisso e per di più soddisfacente. Ma c’era un problema: era lontano dalla sua amata Monteverde, dove la famiglia d’origine era rimasta a coltivare con orgoglio la terra, come ormai da decenni.
Un lavoro stancante quello della famiglia Pagnotta, ma che grazie ad un territorio generosissimo ha sempre dato i suoi frutti: orzo e grano, ma anche avena o fave di primissima qualità. Un’attività nata nel 1969 e portata orgogliosamente avanti negli appezzamenti sparsi sul territorio circostante. Il quartier generale tuttavia è sempre stato a Serro della Croce, uno dei tre colli su cui sorge il paese, quello più verde, quello più incontaminato.
Acqua buona e abbondante (lo testimoniano le 23 fontane comunali), cereali di prima qualità e soprattutto una gran voglia di tornare a casa. A un certo punto Vito, che ha studiato da agronomo, unisce i puntini e decide di fare un salto nel buio: master in Belgio sulle birre artigianali e conversione dell’azienda in birrificio agricolo. Un modo di far evolvere l’azienda di famiglia adeguandosi ai tempi e soprattutto, per lui, un modo per ritornare in Irpinia.
Nel percorso di crescita ha un ruolo importante Carmela, compagna di vita (oggi a capo del reparto marketing e comunicazione) che lo appoggia nella scelta di trasformare il garage di casa in un laboratorio in cui sperimentare le prime birre. La loro vita si condensa in quei 40 metri quadrati, dove Vito e Carmela incastrano sala cotta e serbatoi, dove producono e imbottigliano gomito a gomito.
Serrocroce nasce nel 2010 come primo (e finora unico) birrificio agricolo della Regione Campania. Ciò significa che è capace di realizzare in autonomia il ciclo completo: dalla produzione delle materie prime fino alla realizzazione del prodotto finale. Da questo momento l’azienda si concentra esclusivamente sui cereali utili per la birra: orzo, grano, coriandolo e tutte le altre materie prime utili, tra cui il luppolo, coltivato nell’apposito luppolaio adiacente. Un ciclo produttivo totalmente a km. 0, da cui si esce soltanto per la maltazione dell’orzo, effettuata nella confinante Melfi (comunque a meno di 30 chilometri).
Nel 2018 nasce l’attuale sito aziendale in Contrada Piazze, in un moderno capannone situato ai piedi di Serro della Croce, in un luogo simbolo per la famiglia Pagnotta, laddove si sono sempre coltivati i i grani.
Oggi il Birrificio Serrocroce è una delle realtà brassicole più prestigiose del Sud Italia. Un vanto per la provincia di Avellino, vista la qualità dei prodotti, la capacità comunicativa, la precisa distribuzione sul territorio, ma soprattutto la perenne volontà di innovare.
Serrocroce infatti propone, accanto a birre classiche (l’ambrata, la chiara, la luppolata e “la fresca“), anche proposte originali, nate da collaborazioni (come quella con Grano Armando) oppure figlie di sperimentazioni. Non è passato inosservato il progetto “Birra del Paese” con cui Serrocroce ha coinvolto tutti i produttori del paese per realizzare la “Monteverde”, considerata lo scorso gennaio la migliore birra d’Italia nella sezione saison (birre ad alta fermentazione, dal gusto secco e non molto alcoliche) secondo FederBirra. L’assegnazione del luppolo d’oro è solo il più recente dei riconoscimenti ottenuti nel tempo, dopo l’Oscar Green 2017 che ha consacrato quella di Serrocroce come la birra più verde d’Italia.
Ma nonostante il crescente successo quelli di Serrocroce continuano a confessarsi “contadini prima che birrai“. In questo birrificio, per ammissione degli stessi titolari, troveremo sempre e solo birre con elementi del territorio irpino, grande valorizzazione delle materie prime autoctone e tentativo perenne di innovazione. Innovazione, che nelle realtà più lungimiranti significa anche saper guardare al passato: insieme al CNR di Avellino, infatti, Serrocroce sta portando avanti il progetto “Graditi”, con cui vengono realizzate birre sperimentali con i grani antichi (attualmente a catalogo c’è la Granum, con grani antichi e coriandolo).
Basta una visita in azienda, una chiacchierata con i titolari, per comprendere appieno la filosofia aziendale, fatta di quel coraggioso, perenne equilibrio tra tradizione e innovazione, che sfrutta le radici solide del passato per evolversi verso un futuro che non può non essere radioso.