Mini-guida ai formaggi d’Irpinia

Carmine Cicinelli

Carmine Cicinelli

caciocavalliBUONIECORTESI

Viaggio nel mondo dei formaggi irpini: tra grandi classici e piccole chicche, tutto quel che c’è da sapere sulla tradizione casearia in provincia di Avellino

L’Irpinia è un territorio tipicamente appenninico. Qui non è raro trovare greggi di pecore attraversare indisturbate la strada, con buona pace degli automobilisti. Mentre in montagna (sul Laceno o sul Terminio, per esempio) ancora si vedono le vacche scorrazzare in tutta tranquillità, invadendo bonariamente la carreggiata. Non a caso in Irpinia passa l’importante tratturo Pescasseroli-Candela simbolo della transumanza.

Pecore invadono la strada intorno a Pietrastornina

Abbondanza di animali lattiferi vuol dire automaticamente grande vocazione per il formaggio. Prodotti più comuni e chicche gastronomiche: tutto il patrimonio caseario irpino racconta la storia e la cultura del territorio. Un territorio variegato, capace perfino di creare sorprendenti sfumature partendo dallo stesso prodotto (come nel caso del caciocavallo). Perché la differenza la fa soprattutto il terreno, oltre alla stagionatura e alla intramontabile pratica di condurre gli animali nella natura per brucare l’erba fresca.

Vacche alla periferia di Savignano Irpino

Emblema di questo ragionamento è il Pecorino di Carmasciano, prodotto in pochi pezzi, in una zona limitata dell’Alta Irpinia, capace di regalare emozioni diverse a seconda dei gradi di stagionatura. Le pecore laticauda, da cui viene prodotto il latte necessario, hanno anch’esse una storia che le lega al territorio (per un approfondimento clicca qui). Brucando le erbe attorno alla Mefite producono latte dal sapore inimitabile. Il Carmasciano, nei territori di Rocca San Felice, Frigento, Guardia Lombardi e Sant’Angelo dei Lombardi viene realizzato da pochi produttori, con aziende tendenzialmente medio piccole ed un presidio Slow Food a tutelarne integrità e produzione.

Discorso diverso per il Pecorino di laticauda. Anch’esso realizzato con latte della stessa pecora, ma in zone differenti da quelle del Carmasciano. In particolare è un prodotto presente nella Valle del Miscano, ad Ariano Irpino, Casalbore e Montecalvo Irpino, al confine con l’Alto Sannio, zona dove è molto più diffuso. Tuttavia in Irpinia è possibile trovarlo anche ad altre latitudini, ovunque venga allevata la pecora da cui prende il nome.

Forme di Carmasciano in fase di stagionatura

È invece la malvizza a produrre il latte utile per l’altro grande pecorino irpino: il Pecorino Bagnolese (clicca per approndire). Si produce in una zona non molto lontana da quella del Carmasciano, in un’area che ha Bagnoli Irpino come riferimento. Tuttavia il suo procedimento, le peculiarità organolettiche e i sentori sono decisamente differenti dall’altro pecorino irpino. Così come la forma, decisamente più piccola. Anche per il pecorino bagnolese a portare avanti la produzione sono pochissime aziende, tutte a conduzione familiare.

Pecorino bagnolese

Per concludere il discorso sui formaggi ovini, un passaggio obbligatorio va fatto sul Cacio moscio. È tipico della zona della Bassa Irpinia e deve il suo nome alla grande morbidezza della sua pasta anche in caso di stagionature importanti. Il latte è ricavato dalla pecora turchessa, varietà abituata a terreni impervi, che vive in pochissimi capi ed a forte rischio d’estinzione. Un formaggio storico che sopravvive grazie all’abnegazione di un solo caseificio, e alla relativa azienda agricola, ad Avella (non a caso è detto anche “Formaggio di Avella”).

Un cacio moscio di Avella, affinato al fieno

Tra i formaggi stagionati, ma a base di latte vaccino, un ruolo importante lo recita il caciocavallo. Dalla forma tipica e dalle mille sfaccettature, è senza dubbio uno dei simboli gastronomici dell’Irpinia.

Sulla carta, la provincia di Avellino rientra (con ben 75 comuni su 118!) nell’area di produzione del Caciocavallo Silano DOP. Tuttavia sfido chiunque a trovare un caseificio, uno solo dico in tutta l’Irpinia, che lo produca. È la contraddizione tipica delle DOP legate alle realtà casearie. I motivi sono due: innanzitutto perché, potendosi produrre in 5 regioni d’Italia, il Silano si propone come simbolo del Meridione, non come espressione di un territorio specifico. E qui interviene il secondo motivo: proprio in Irpinia, subregione relativamente piccola e decisamente variegata, il formaggio è molto condizionato da qualità del terreno, microclima e condizioni di stagionatura. Al punto che ad oggi si può parlare di un folto ventaglio di espressioni del caciocavallo in Irpinia, figlie di altrettante filosofie di produzione.

Un caciocavallo di media stagionatura

Al classico caciocavallo podolico, producibile in tutta la regione (e anche oltre) purché si utilizzi il latte dell’omonima vacca, si affianca il caciocavallo podolico dei Monti Picentini. Si tratta di un PAT che viene prodotto nei soli territori di Bagnoli Irpino, Volturara Irpina, Cassano Irpino, Nusco, Serino e Montella e si differenzia per un’alimentazione più rigorosa (che esclude i foraggi aziendali ed è fatta appunto solo di essenze fresche che dipendono dalla transumanza), una minore temperatura nella cottura della cagliata e una forma più piccola (e più scura in caso di lunga stagionatura).

Il Caciocavallo irpino di grotta invece, oltre che per marginali differenze nella fase produttiva, fonda la sua peculiarità sulla stagionatura in grotte naturali di tufo, presenti nelle zone dell’Ufita, del Terminio-Cervialto, dell’Ofanto e dell’Alta Irpinia. Il latte è soprattutto della razza Bruna Alpina e alcune forme possono arrivare addirittura a 10 chili di peso!

Ancora diverso è il Caciocavallo del Formicoso, il cui nome deriva dall’omonimo altopiano che si trova tra Andretta e Bisaccia (paesi in cui questo formaggio viene prodotto insieme a Guardia Lombardi, Morra de Sanctis e Vallata). Il latte impiegato è soprattutto quello di Pezzata Rossa e i pascoli sono semibradi.

Caciocavalli in esposizione a Montella

Il Caciocavallo affumicato è invece un prodotto molto meno radicalizzato in sottozone specifiche, è in media più piccolo degli altri (lo si trova in versioni a partire da 500 gr. di peso). Si caratterizza per un’affumicatura naturale con legna o paglia che conferiscono il caratteristico colore bruno.

La sperimentazione di alcune aziende ha dato invece vita ad alcuni prodotti che rientrano nella categoria dei caciocavalli (per lavorazione, tecniche e/o concezione), pur non facendone ufficialmente parte. È il caso in particolare del Caciocchiato, un formaggio prodotto esclusivamente ad Ariano Irpino, che si differenzia fortemente per la forma (spesso troncoconica) e la fortissima occhiatura della pasta, evidente e uniforme. Discorso similare per la Schiena d’asino dalla forma a campana e stagionato dai 3 ai 5 mesi nelle grotte tufacee di Calitri e Zungoli e di tutti i similari (Caciomolara, Caciobarile, ecc.) che risentono di filosofie e scelte aziendali differenti.

Il caciocavallo impiccato: il miglior modo per giustiziare un caciocavallo fresco

L’altra metà del cielo per i formaggi irpini si condensa nella produzione di latticini di grande qualità (principalmente di latte vaccino, ma anche ovino). Diffusi un po’ ovunque, la treccia e il fiordilatte sono formaggi freschi vaccini a pasta filata. Sono diffusissimi ed accomunano tutte le terre d’Irpinia. Anche qui, la territorialità regala però alcune variazioni, figlie della tradizione di alcune sottozone. È il caso dei Nodini di mozzarella savignanese (realizzati a Savignano Irpino secondo una tecnica a 8 mani) o della treccia di Montella (formata da tre cordoni intrecciati a mano). Per non parlare della ricotta, ottenuta dal siero del formaggio, che spesso assume una specifica denominazione proprio in base al latte da cui proviene (ricotta di Carmasciano, di laticauda, di pecora bagnolese). Tra i PAT legati alla ricotta meritano una menzione la ricotta di mantèca di Montella (conservata nelle classiche fuscelle di vimini da cui prende la particolare forma) e la ricotta salaprese (conservata sotto sale e che tutta Italia chiama semplicemente “tipo Montella”).

Preparazione della ricotta

Chiudono la carrellata i vaccini come la scamorza: formaggio a pasta filata, simile al fiordilatte per lavorazione, ma con una forma differente (che presenta una testina con cui vengono appese a coppie). Caratterizzata da un leggero appassimento, la scamorza al taglio non presenta quel siero lattiginoso tipico dei fiordilatte, in quanto maggiormente compatta. Variazioni sul tema che rappresentano ristrette specialità territoriali sono la Scamorza di Montella (che differisce per peso – circa 600 gr. – e una testa molto più evidente) e la Provoletta calitrana (con una punta di sale in più e una forma inconfondibile, caratterizzata nella parte inferiore da un pizzo a forma di fiore).

La classica forma della provoletta calitrana

Abbondanti materie di prima di qualità e lavorazioni sapienti che seguono dettami antichissimi: in fondo è tutta qui la formula vincente dei formaggi irpini. E i risultati, che siano i rari pecorini, i gustosi latticini o i caciocavalli che tutelano la biodiversità territoriale, non sfigureranno in un antipasto gourmet né in una merenda contadina.

Il mio consiglio è quello di acquistarli direttamente dai produttori. Oltre ad un risparmio in termini economici ed una freschezza certamente garantita, credo sia il modo migliore per cogliere quegli aspetti umani e sociali che fanno veramente la differenza e che sono alla base dei formaggi irpini autentici.

Un prezioso caveau di Caciocavalli del Formicoso a Bisaccia (col suo custode!)