Nella “Giornata nazionale delle lotte contadine” l’occasione è propizia per raccontare dell’anima agreste dell’Irpinia: terra di contadini, antiche masserie, musei dedicati ed antiche pratiche
“La verde Irpinia” è un espressione che di tanto in tanto ancora si sente pronunciare. È il retaggio di una fisiologica simbiosi tra l’area geografica della provincia di Avellino e la sua configurazione territoriale. Quell’aggettivo “verde” non è solo simbolo di paesaggi di montagna, ma è soprattutto sinonimo di campagna e di una ricca biodiversità. Perché l’Irpinia è da sempre terra rurale per eccellenza, in cui la produzione agricola ha rappresentato un fattore economico determinante, a partire dalla forte vocazione enologica ma non solo.
Vivere in campagna significa rispetto delle radici, attaccamento alle tradizioni, attenzione verso certi aspetti della quotidianità. Vivere da contadino significa appartenere ad una dimensione speciale. Una dimensione fatta di semplicità, di sacrificio ma anche di grande acume e saggezza. A testimonianza di quest’ultimo aspetto non possiamo dimenticare, per fare un esempio, i vecchi metodi per prevenire il meteo, in tempi in cui l’Aeronautica Militare era ancora fantascienza. Alcuni di questi fenomeni erano osservabili esclusivamente in campagna, e proprio in campagna diventavano importanti, giacché dalla loro rigorosa osservazione dipendevano, per esempio, l’organizzazione delle giornate di lavoro. Se la gatta si grattava dietro l’orecchio con insistenza oppure le vecchie fratture diventavano doloranti, era in arrivo il maltempo! Al contrario, quando gli uccellini ricominciavano a cantare o la nebbia rimaneva bassa a coprire la pianura si approssimava il bel tempo. Perfino l’andamento del fumo dal comignolo era indicativo: se saliva la giornata sarebbe stata buona, in caso contrario meglio preparare l’ombrello.
Il contadino, per definizione, oltre a lavorare la terra, in campagna deve anche viverci. Ecco perché risultano interessanti tutte le dimore rurali che rappresentano oggi, degli straordinari monumenti alla ruralità. Masserie, case coloniche, casini sono infatti dotati di elementi architettonici di grande interesse (come le torri colombaie o le cappelle private delle magioni più importanti) e di elementi funzionali di grande fascino (come nel caso delle saettiere, antiche feritoie ricavate nelle mura esterne delle abitazioni dove inserire la canna del fucile in caso di ospiti indesiderati sull’uscio di casa).
In Irpinia è in atto da tempo una mappatura di questi monumenti architettonici che, un po’ i terremoti, un po’ la dissennata gestione umana (che ai filari di casolari sembra più interessata ai filari di pale eoliche), hanno reso sempre più rari. Personalmente ho sempre trovato affascinanti le abitazioni di campagna di un tempo, imponenti e ricche di storie, teatro di momenti antropologici che diventavano rituali inscalfibili. Credo non si possa rimanere indifferenti di fronte al Casone di Montevaccaro (nel territorio di Lacedonia), alla Masseria Ponterotto (a Mirabella Eclano), a Casale Lo Parco di Frigento o alla Masseria Chiuppo de Bruno nel territorio di Ariano Irpino.
Le abitazioni rurali, insieme al tipico know-how contadino e agli strumenti utilizzati per governare gli animali e lavorare il terreno, rappresentano i fondamenti della civiltà contadina, che in provincia di Avellino hanno ispirato la creazione di numerosi musei contadini. In Irpinia ce ne sono una ventina. Tra essi mi sento di segnalare il Museo delle cose perdute a Bonito e il Museo della civiltà contadina a Luogosano. Per una ragione semplice: sono il frutto dell’amore di coloro che li hanno fortemente voluti, vale a dire Gaetano Di Vito a Bonito e Vito Ferrante a Luogosano, per non perdere il contatto con il passato e preservare le proprie origini. Molto interessanti anche il MAVI di Lacedonia, che custodisce le 1801 fotografie scattate dall’antropologo Frank Cancian sulla civiltà contadina lacedoniese del 1957, ma anche il Museo Etnografico Beniamino Tartaglia di Aquilonia, tra i più grandi e suggestivi d’Italia, che oltre a catalogare i classici strumenti da lavoro, ricostruisce con fedeltà ambienti e scene di vita contadina. Anche se probabilmente quello più in target si trova a Bisaccia ed è il Museo Polimediale delle Lotte Contadine dell’Alta Irpinia, un museo dedicato alla lotta della civiltà rurale per il rispetto dei propri diritti.
La tendenza del ritorno alle campagne e il ritrovato amore per la terra, dovute da un lato a scelte di vita salutistiche e dall’altro dal ritorno di molti giovani laureati nell’azienda di famiglia (dove poter sfruttare le conoscenze acquisite apportando innovazione), rendono quello sulla lotta contadina un discorso di grande attualità.
La lotta non è più contro il padrone, il latifondista o il grande proprietario terriero, bensì contro il sistema industrializzato e globalizzato che stritola le piccole realtà, costrette ad adeguarsi a leggi talvolta vessatorie, ad affrontare l’improvviso sopraggiungere del parassita di turno oppure a dover partecipare a ignobili aste al ribasso pur di entrare nei circuiti commerciali che contano.
Una lotta da vincere, per ristabilire un ritorno ad una dimensione più consona, per rientrare in standard maggiormente sostenibili. Ecco perché ad ogni acquisto, per ogni spesa, non vanno mai disdegnati, anzi andrebbero preferiti i mercatini, i gruppi di acquisto, le filiere corte o l’acquisto diretto in azienda, che oltre a donarci prodotti più freschi e certamente di stagione, forniscono maggiore dignità alla quotidiana fatica dei contadini, a cui oggi in maniera sacrosanta è dedicata questa giornata.