Qualcuno la chiama anche notte di mezza estate: è la più misteriosa dell’anno, in cui tra mito e storia documentata, resiste ancora la tradizione del nocino
La tradizione vuole che nella notte tra il 23 e il 24 giugno (la cosiddetta “notte delle streghe”) si raccolgano le noci per ottenere il nocino, liquore digestivo molto diffuso in Irpinia. La data è frutto solo parzialmente di motivazioni scientifiche (ossia che avendo da poco superato il solstizio d’estate i frutti hanno assorbito il calore adeguato e subìto l’opportuno influsso lunare). La parte più corposa che lega questo rituale alla data in questione però risiede in quell’irresistibile mix di leggenda e storia documentata, con cui entrano in gioco San Giovanni Battista, le janare e i longobardi. Per fare chiarezza sulla storia, ho interpellato uno dei massimi esperti sulla questione, il presidente della Pro Loco Altavillese Pietro Rosato, che ringrazio per la preziosa collaborazione.
Andiamo per gradi. Nel Medioevo i longobardi avevano l’usanza di venerare gli alberi (considerati talvolta incarnazione delle divinità), praticando rituali pagani nei pressi degli alberi di noce. La scelta di questo arbusto in particolare si deve al fatto che le sue radici, secernendo juglandina (una sostanza nociva per gli altri vegetali), lo isolano naturalmente da altre colture (liberando molto più spazio attorno all’albero per i rituali).
È qui che la chiesa interviene, fornendo il suo contributo a questa storia. Tra i popoli dell’antichità infatti figure come oracoli, sibille, maghi e streghe godevano di una rispettabilità molto alta. Nel tentativo di cristianizzare i pagani, la chiesa riuscì a trasformare nell’immaginario collettivo i rituali longobardi in riti esoterici, demonizzando dunque in particolare gli alberi di noce. L’opera persecutoria della chiesa durò ben due secoli durante il Medioevo: la famigerata “Caccia alle streghe” portò al rogo un numero molto alto di donne considerate streghe, partendo dalla convinzione che San Giovanni venne fatto uccidere da Salomè, la prima strega della storia, che ammaliò Re Erode con le sue danze convincendolo ad offrirgli la testa del Battista su un piatto d’argento (da qui il vecchio detto!).
Tornando al noce, secondo la leggenda (sorretta da alcune testimonianze tra cui quella di San Bernardino da Siena) è proprio sotto uno di questi alberi, definito Noce di Benevento, che le streghe di tutta Europa si riuniscono da secoli per i loro sabba. Lo scopo è quello di praticare rituali, attraverso canti e danze, per dar vita a pozioni magiche e sortilegi utili ad ingannare gli uomini. I malcapitati che assistevano ai sabba o che semplicemente transitavano in zona durante la notte delle streghe venivano coinvolti in strani accadimenti, documentati in numerose storie e racconti.
Per proteggersi dalle janare che frequentavano il noce, si usava raccogliere al tramonto del 23 giugno le cosiddette erbe di San Giovanni: la verbena, il vischio, il sambuco, il ribes, l’iperico (anche detta erba di San Giovanni), l’artemisia e l’aglio, nonché i malli di noci (da cui la tradizione del nocino). Con questi ingredienti si realizzava un unguento speciale con cui occorreva cospargersi il capo per sfuggire all’ira delle janare, che dopo ogni sabba, a cavallo delle scope di saggina andavano a seminare il terrore.
Dalla nascita dei bambini dalla rugiada, all’incursione delle janare nelle stalle per intrecciare il crine dei cavalli, dai riti di fertilità con cui le donne si accovacciavano nude sull’erba bagnata di rugiada, alla cenere protettrice proveniente dai falò accesi a mezzanotte dal 24 giugno, le storie attorno a questa notte magica e misteriosa si sprecano. Degno di nota in particolare è il racconto di Pietro Piperno, pubblicato nel 1640, intitolato “Il Gobbo di Altavilla”, in cui per la prima volta si alloca il Noce di Benevento nel cosiddetto Stretto di Barba.
Quest’ultimo è una profonda gola scavata dal fiume Sabato (da cui probabilmente il nome “Sabba”) in un territorio situato nell’Irpinia d’Occidente, al confine con il beneventano, sede dell’antica Via Antiqua Maiore e luogo di passaggio dell’Acquedotto Sannitico. Lo Stretto di Barba è una radura piuttosto spettrale, in cui non c’è nemmeno un’abitazione, al confine tra Chianche, Altavilla Irpina e Ceppaloni, tra due ripide pareti di roccia, dove perfino le vie di comunicazione moderne debbono sottostare al volere della natura.
Attraversare questi luoghi infatti significa inoltrarsi sotto gallerie formatesi col fogliame degli alberi posti sul ciglio della strada, che restringono la visuale e sembrano avvilupparsi come mille braccia protese verso il viandante costretto a passarvi. Ad ogni passaggio anche il più scettico dei viaggiatori non può non figurarsi le ossute propaggini delle janare tentatrici che ancora una volta ci ricordano che lo Stretto di Barba era e sempre sarà casa loro.
Al di là di come la pensiate e di quanto siate suscettibili a queste tematiche, ciò che resta è una tradizione, quella del nocino, di cui vi lascio la ricetta:
INGREDIENTI (per 1 litro di nocino):
- Noci con il loro mallo (24)
- Alcol (1 l.)
- Acqua (600 ml.)
- Caffè ristretto (2 tazzine)
- Chiodi di garofano (5)
- Cannella (2 stecche)
- Noci moscate (2)
- Zucchero (600 gr.)
- Raccogliere (o comprare) le noci di San Giovanni raccolte il 23 giugno, spaccarle in 4 parti e metterle in infusione in un recipiente capiente insieme all’alcol, ai chiodi di garofano, alle noci moscate, alle scorze di limone e alle stecche di cannella
- Coprire questo recipiente in maniera da non fargli prendere molta luce e lasciarlo in infusione per 40 giorni (dunque fino alla fine di luglio), avendo cura di rimestarlo di tanto in tanto
- Alla fine del periodo di maturazione, mettere l’acqua e lo zucchero in una casseruola e quando raggiungono il bollore aggiungere il caffè ristretto (vi consiglio di raccogliere il primo che esce dalla moka)
- Una volta che il composto si è completamente raffreddato, lasciarlo riposare ancora per 2 o 3 ore
- A questo punto amalgamare i due composti insieme, premurandosi di filtrare la soluzione alcolica maturata in modo da escludere tutti i residui
- Imbottigliare e lasciare maturare in bottiglia almeno fino a inizio novembre
- Il nocino ha una straordinaria capacità di invecchiamento: se fatto bene può essere consumato anche a distanza di molti anni, lasciando intatte, anzi potenziando, le sue capacità digestive