La Bombarda, il dolce esclusivo di Avellino

Carmine Cicinelli

Carmine Cicinelli

Genesi, storia e quel sapore inimitabile della bombarda, la “pasta” della domenica per gli avellinesi

L’ho sentita definire anche “babà avellinese“, forse per quella forma che ricorda vagamente il famoso dolce napoletano. Ma con quest’ultimo, fattezze escluse, non ha davvero nulla in comune. Mi riferisco alla bombarda, il dolce tipico della città di Avellino, reperibile esclusivamente nel capoluogo e nel suo immediato hinterland.

Per essere più precisi, tra i dolci che compongono la guantiera di paste della domenica, la bombarda è l’unica veramente originaria del capoluogo avellinese. Gli altri sono dolci della tradizione, diventati tali perché importati in passato da pasticceri partenopei venuti a cercar fortuna dalle nostre parti. La bombarda invece è stata creata nel capoluogo e, come per la zuppetta di Carife, è un dolce intriso di territorialità. A partire dagli ingredienti: pan di spagna classico (realizzato con lo stampo del babà, da cui la forma), bagna all’alchermes (che le conferisce quel colore inimitabile), un ricco ripieno con ricotta vaccina e gocce di cioccolato e per finire la copertura dell’estremità più bombata, con ricotta e nocciole locali sbriciolate.

guantiera bombarde

È evidente che se volete sorprendere qualcuno che non conosce Avellino la bombarda è l’esperienza sensoriale che fa al caso vostro.

Nonostante sull’inventore e l’anno di creazione non ci siano certezze, ripercorrendo la storia della pasticceria avellinese insieme a Roberto De Pascale della omonima pasticceria del centro città, sembra chiaro che la bombarda sia stata creata nel secondo dopoguerra. Il nome rievoca uno degli eventi più tragici della storia di Avellino, ossia i bombardamenti del settembre 1943, quando la città capoluogo venne distrutta da un copioso lancio di bombe da parte degli alleati. Un pasticcere dell’epoca (tra i pochi presenti in città), forse per sdrammatizzare, più probabilmente per lasciare ai posteri una testimonianza di questo tragico evento storico, inventò questo dolce associando la sua forma a quella degli ordigni sganciati sul centro città.

All’epoca la bottega De Pascale era gestita da Sabino, il nonno di Roberto, che spostò l’attività di famiglia sul Corso di Avellino e avviò un percorso sui lievitati che, con il figlio Antonio, si evolverà nella Pasticceria De Pascale come la conosciamo oggi. Sabino, uomo generoso e disponibile, si rese protagonista di atti di benevolenza nei riguardi della popolazione avellinese, sia nell’ordinario (come quando regalava i maritozzi – ancora oggi un vanto di questa pasticceria – agli studenti), sia soprattutto nelle difficoltà (tanto da continuare a panificare sfidando le leggi fasciste e le bombe durante la seconda guerra mondiale). Durante i bombardamenti, mentre gli altri si rifugiavano nelle contrade ai margini della città, Sabino si schierò al fianco dei pochi temerari, soprattutto uomini di chiesa, che provarono a scavare tra le macerie e soccorrere i feriti, mettendo in fuga perfino alcuni sciacalli evasi dall’adiacente Carcere Borbonico. Una generosità che gli costò la vita: morì proprio a causa dei bombardamenti, mentre era al lavoro nel suo laboratorio, nel luogo esatto dove oggi sorge la piazzetta a lui dedicata.

Sabino De Pascale
Sabino De Pascale, storica figura del commercio avellinese

Al di là di chi abbia inventato la bombarda tra i mastri pasticceri dell’epoca d’oro (De Pascale, Don Carlino Landolfo, Crescenzo Rossi del Bar Diana, Cammino, Lanzara, D’Amore) sono molti in città quelli che associano questo dolce alla pasticceria gestita oggi da Roberto e Francesco De Pascale. Probabilmente per averne portato avanti la tradizione, facendola diventare di fatto la pasta della domenica avellinese.

Tornando ai giorni nostri, va detto che non tutti in città propongono questo dolce nelle proprie vetrine. Oltre a De Pascale è possibile reperirlo presso un altro alfiere della pasticceria avellinese: Luigi Urciuolo. Nei suoi esercizi tra Atripalda ed Avellino, Luigi propone quotidianamente la bombarda proprio per il valore simbolico che ha per la comunità avellinese. La sua teoria sul perché non tutti la producono in zona sta nell’artigianalità stessa della bombarda, che è – a detta di Luigi – semplice da fare visti i pochi passaggi, ma estremamente ostica da realizzare perché non ci si può affidare alle macchine. Tutto avviene artigianalmente, per cui fare la bombarda richiede una manualità non comune a tutti.

Va aggiunto infine un altro fattore, vale a dire la grande deperibilità: la ricotta è freschissima, le noccioline non rimangono croccanti in eterno, la bagna alla lunga inzuppa l’impasto rendendolo molle. Occorre dunque la giusta domanda per produrla quotidianamente e perché tale produzione non risulti antieconomica. Per gli avellinesi che la conoscono e per tutti coloro che l’hanno provata almeno una volta nella vita, il giudizio non può che essere positivo. Per incentivarne la diffusione e far diventare la bombarda un vero must della gastronomia avellinese, però, manca ancora una adeguata promozione, che permetta di considerarla universalmente una di quelle esperienze irrinunciabili per chi visita il capoluogo d’Irpinia.

bombarda