Perchè il baccalà è così diffuso in provincia di Avellino? Scopriamolo, insieme ad “Accio e Baccalà“, la ricetta tipica della vigilia in Irpinia.
Da sempre alla vigilia di Natale i precetti cattolici proibiscono di mangiare carne. A farla da padrone, dunque, insieme a frutta, verdura e latticini è sicuramente il pesce, che in Irpinia ha una connotazione specifica ed inalienabile: il baccalà. Quello che si celebra in provincia di Avellino è un vero e proprio culto di questo alimento. Ma quali sono i motivi di questo forte connubio?
Cominciamo subito col chiarire cos’è il baccalà. Il baccalà è merluzzo nordico grigio che viene messo sotto sale per la conservazione. Per essere cucinato ha perciò bisogno di perdere tutto la sapidità in eccesso per non risultare stucchevole. Ecco perché una delle fasi più importanti, e delicate, della preparazione del baccalà, è certamente quella preparatoria, la cosiddetta messa a bagno (l’ammollo), in cui il pesce, una volta privato del sale in superficie, viene completamente immerso in acqua per qualche giorno. La durata dell’ammollo dipende dal pezzo: per la panzetta, ossia la parte esterna della cosiddetta scella, occorrono 2 o 3 giorni, mentre per il filetto (detto mussillo) ne occorrono 3 o meglio ancora 4. Dal secondo giorno occorre cambiare l’acqua due volte al dì, al mattino e alla sera. Al termine del processo il baccalà è pronto per essere cucinato nei modi più svariati. Nelle festività natalizie in Irpinia si mangia solitamente fritto (anche in pastella) o all’insalata, nonché nella classica ricetta con l’accio (il sedano locale) accompagnato in alcuni casi anche dalle patate.
Ma per capire i motivi che rendono il baccalà così famoso e presente nella cucina della tradizione, bisogna rifarsi ad un po’ di storia intrisa probabilmente di qualche leggenda metropolitana.
Tutto parte dal metodo di conservazione. Questo pesce proveniente dai Mari del Nord è diventato parte integrante della cultura culinaria dell’entroterra campano (nonché lucano) perché la salagione era l’unico metodo (in un’epoca in cui i frigoriferi non esistevano ancora) per conservare a lungo il pesce in territori lontani dal mare. Sembra che sia arrivato in Irpinia quasi per caso, alla fine dell’’800, da un capitano di vascello che veleggiava nel Nord Europa e che, di ritorno per Natale nel suo paese d’origine, lo portò in famiglia per ravvivare il menù della vigilia che a quel tempo si limitava agli spaghetti con noci ed alici.
L’idea fu apprezzata, tanto che la notizia da Chiusano di San Domenico si diffuse fino ad Atripalda, dove alcuni agenti di commercio (all’epoca la Dogana di Piazza Mercato era un crocevia commerciale fondamentale) ne cominciarono l’importazione e la successiva rivendita, avviando un commercio di baccalà che risultò fin da subito fiorente.
Il resto lo hanno fatto le massaie, che col tempo l’hanno abbinato alla perfezione ad alcuni prodotti autoctoni, tipici dalla cultura tradizionale contadina, che lo hanno reso un caposaldo della ristorazione locale. Non solo a Natale si gusta una ricetta, originaria probabilmente di Morra De Sanctis e poi diffusa su tutto il territorio provinciale, che utilizza l’olio di qualità e i peperoni cruschi. Si tratta del baccalà alla pertecaregna (o alla ualanegna). L’origine del nome non tradisce l’anima rurale del piatto: la perteca era il bastone dove essiccare a partire da agosto le nzerte di peperone (nella varietà lunga, tipo corno di capra), mentre i gualani erano i contadini dediti ad arare il terreno tramite gli aratri (in dialetto pertecare).
Da allora il baccalà è diventato un piatto imprescindibile della provincia di Avellino e anche se sono cambiate tantissime cose, è ancora oggi un must della ristorazione irpina. Dalla sua introduzione ad oggi, come spesso accade, da piatto accessibile a tutti, il baccalà è diventato un cibo piuttosto ricercato e perciò non più a buon mercato. Per un baccalà di qualità oggi si arriva a spendere quanto, se non addirittura di più, di un pregiato taglio di carne. Ma nonostante oggi l’avanzare della tecnologia ed una minore ristrettezza economica consentano al pesce fresco di arrivare tutti i giorni sul banco del mercato, la tradizione del baccalà è ancora molto solida. E specie sotto le feste non c’è casa in Irpinia che non proponga una delle numerose ricette che vedono protagonista questo alimento.
Se volete farvi una cultura sull’argomento, e magari anche una scorpacciata come si deve, vi consiglio di passare in un giorno qualsiasi dell’anno a La Corte dei Filangieri a Candida, dove vi basterà scambiare due chiacchiere col patron Antonio Petrillo per capire quanto in Irpinia il baccalà sia una cosa seria.
Per augurarvi buone feste, vi riporto qui di seguito la ricetta tradizionale di Accio e baccalà.
Buon appetito, e buone feste!
ACCIO E BACCALA’
INGREDIENTI:
- Sedano bianco (vi consiglio l’Accio di Gesualdo PAT) (1 kg.)
- Mussillo di baccalà già ammollato (1 kg.)
- Olio EVO (vi consiglio l’Irpinia – Colline dell’Ufita DOP)
- Pomodorini di collina (300 gr.)
- Noci o Pinoli (a piacimento)
- Aglio (4 spicchi)
PREPARAZIONE:
- Preparare il sedano, togliendo la parte inferiore e separando le foglie dal gambo, provvedendo poi a privarlo grossolanamente dei filamenti esterni dei gambi
- In una pentola lessare il sedano in acqua salata (prima i gambi, poi dopo 5 minuti le foglie). Scolare (tenendo l’acqua di cottura) quando le foglie sono ben appassite
- Soffriggere l’aglio (privato dell’anima) in abbondante olio EVO insieme ai pomodorini tagliati a metà e, una volta che l’aglio si sarà dorato, aggiungere il sedano
- Dopo aver fatto soffriggere per pochi minuti, aggiungere l’acqua del sedano, aggiustare eventualmente di sale e, a fiamma bassa e col coperchio, far cuocere per pochi minuti
- Aggiungere il baccalà e farlo cuocere, sempre a fiamma bassa e col coperchio, per 8/15 minuti a seconda dello spessore dei pezzi di mussillo
- Intanto tostare le noci (o i pinoli) in una padella
- Al termine della cottura, impiattare il baccalà, ricoprirlo con il sedano e finire con l’aggiunta della frutta secca tostata