Il più famoso formato di pasta in Irpinia (e anche il più versatile) è realizzato secondo un antico procedimento tramandato oralmente per cui occorrono pochi ingredienti ma tanta pratica
Uno degli elementi che accomuna tutta la provincia di Avellino è certamente la pasta fresca. Ogni zona ha i suoi cavalli di battaglia ed anche quando esistono formati universalmente riconosciuti, come nel caso dei cicatielli, le infinite varianti di formato e anche di nome finiscono per complicare le cose, creando di fatto delle seppur minime differenze. Tutto ciò non vale per i fusilli avellinesi: conosciuti e riconosciuti ovunque, prodotti e mangiati in tutte le terre d’Irpinia, senza alcuna distinzione di latitudine, e con la medesima tecnica di realizzazione.
Storia, tradizione ed un’innegabile aderenza al territorio ne fanno un prodotto tra i più tipici della provincia di Avellino. Una “spontanea” variazione del formato commerciale, quello a forma di spirale, corto e dalle fattezze spigolose. Il fusillo avellinese è un’altra cosa. Innanzitutto per la sua forma inequivocabile. Affusolato e conturbante, sinuoso. Più lungo e snello del fusillo italico classico. Merito di un metodo di lavorazione, tramandato per apprendimento, che è un know how insito nel DNA della massaia irpina, che con naturalezza viene ereditato dalla generazione successiva. Come un piccolo dono, come un marchio identitario da perpetuare.
I fusilli avellinesi sono una pasta fresca rigorosamente fatta a mano. Si possono fare al momento perché non hanno bisogno di tempi lunghi, ingredienti ricercati o laboriose preparazioni. Al massimo un paio d’ore di asciugatura. Perfetti insomma per essere realizzati di prima mattina, nelle domeniche o nei giorni di festa, in attesa che la famiglia si riunisca per pranzo. Spesso mentre il ragù sul fuoco fa il suo corso.
Solo due ingredienti, semplici e facilmente reperibili, per un risultato che sorprende sempre. Mai come in questo caso infatti, non sono le materie prime a rendere questo ingrediente unico. A intervenire qui sono altri fattori.
La ricetta parte con l’impasto. Acqua (tiepida o a temperatura ambiente) e farina (che qualcuno preferisce mixare con della semola). Un impasto ben amalgamato, liscio e morbido, compatto al punto giusto. Lo si ottiene realizzando la classica fontana di farina e aggiungendo man mano l’acqua fino ad ottenere la giusta consistenza. Il panetto così ottenuto va lavorato, dividendolo poi in serpentelli, che vanno tagliati in rotolini dalla lunghezza variabile (quello classico è attorno ai 5 centimetri).
L’attrezzatura è anch’essa casereccia, bonaria, reperibile in un’anta del salone o nel tiretto della cucina. Si tratta di un ferretto di acciaio. Oggi ce ne sono di professionali in commercio, mentre un tempo bastava un ferro da lana, il cruscè (l’uncinetto), addirittura una stecca ricavata da un ombrello rotto. Unitamente all’immancabile tombagno (la spianatoia in legno per tirare la pasta).
Il movimento con cui si ottiene il fusillo consiste nel posizionare il ferretto su un’estremità del rotolino di pasta, facendolo scorrere poi rapidamente sotto il palmo della mano, avvicinandolo con risolutezza, consentendo così alla pasta di arrotolarsi attorno al ferretto stesso. A questo veloce movimento ne segue uno ancora più rapido, quello di sfilare il fusillo così ottenuto con due dita e farlo cadere sulla spianatoia.
Ciò che sorprende è che di fronte all’usanza comune di fare i fusilli in casa, non ci sia una ricetta: il fusillo avellinese non ha regole scritte che disciplinano per esempio le proporzioni tra acqua e farina (il segreto è ancora una volta la sapienza, per cui si va a occhio). Lo stesso vale per il movimento alla base del fusillo: semplice e complesso al tempo stesso, non ha nessun tutorial a preservarlo, ma solo tanta pratica e la necessità di un minimo di manualità di base. Eppure in tutta Irpinia il fusillo si fa allo stesso modo, con qualche variante solo per quanto concerne la lunghezza (che comunque raramente si discosta dai 5-7 centimetri del prodotto finito).
Il fusillo avellinese è un prodotto tipico irpino perché riconosciuto ovunque per la sua caratteristica forma e la versione rigorosamente fresca e tirata a mano. Ma anche per una certa versatilità in cucina. Ottimo con il ragù avellinese a base di cotica, braciola, pezzente e polpette, perché capace di trattenere il condimento con grande maestria. Ideale base per gustare il broccolo aprilatico di Paternopoli.
Io personalmente lo preferisco nella versione “al tegamino”, con il classico pignatiello di coccio in cui va associato al sugo, alla scamorza ed al parmigiano, che sulla sommità forma un’irresistibile crosta. In molti paesi vengono serviti assieme alle orecchiette, un duo formidabile, in pochi altri abbinati ai ravioli, conditi poi al ragù (Fusill e cauzun’).
Una delizia che si mangia ovunque, come detto, ma soprattutto che è possibile preparare sempre: il fusillo va bene a Pasqua o a Natale, a carnevale o a ferragosto (altra caratteristica che lo rende universale). Non mancano gli abbinamenti tipici di alcuni paesi irpini, da cui si evince una grande versatilità. Dai fusilli con le tonnacelle (polpette di fegato) particolarmente famose a Torre le Nocelle e Taurasi, fino ai Fusilli alla francescana di Montefusco (ricetta antichissima con condimento a base di salsa di pomodoro, prosciutto e peperoni), fino al Fusillo con peperone crusco di Gesualdo e al Fusillo con crema di castagna, pancetta e zucca, piatto autunnale tipico di Cervinara.