Uno dei piaceri dell’autunno, per chi ama il cibo sano e genuino, è certamente mangiare le mele appena colte. Non tutti sanno che l’Irpinia è una delle province italiane in cui si coltivano il maggior numero di mele di varietà autoctona, ossia tipiche del territorio. Col tempo l’inevitabile contaminazione con altri ecotipi rischiava di far perdere questa grande varietà di mele d’Irpinia, tuttavia l’amore di qualche produttore e l’interesse riscontrato negli ultimi anni dalla Regione Campania sull’argomento (per capire di cosa parlo clicca qui), hanno portato alla rivalutazione e ad una nuova valorizzazione di questo enorme giacimento gastronomico. E tutto ciò nonostante le mele in Irpinia non abbiano mai ricevuto in fondo quell’attenzione che forse meritavano. Non c’è nessuna varietà oggetto di certificazione (ad esclusione di poche PAT) tanto che, a parte pochi esperti, ancora oggi continuiamo a definire le mele locali così come facevano i nostri nonni: semplicemente (ed impropriamente) “mele paesane”.
Ma quante sono le mele tipiche del nostro territorio e soprattutto quali sono?
Cominciamo col dire che ne ho contate, cultivar più cultivar meno, circa una quarantina. Sono diffuse praticamente in tutta la provincia di Avellino, con una certa abbondanza nella Media Valle del Calore, nel comprensorio del Terminio-Cervialto e nell’Ufita. I paesi con maggiori varietà di mele autoctone, invece, sono Montemiletto, San Martino Valle Caudina, Montella, Bagnoli Irpino, Serino, Volturara Irpina e Sant’Andrea di Conza.
Si va da quelle più famose, che si fregiano di disciplinari regionali come la Melannurca IGP, presente in maniera massiccia su buona parte del territorio campano, fino alle varietà più specifiche, quelle più antiche e per lungo tempo magari dimenticate.
Se facessimo un test tra i nostri nonni, di certo quelle più citate sarebbero la Mela Suricillo (che ha una specifica varietà nella “soricillo di Nusco”), la mela limoncella (da cui deriva anche la variante limoncellona) e la mela cotogna.
Riguardo la mela bianca di Grottolella, pronipote della Renetta francese e misteriosamente arrivata molto tempo fa nella Valle del Sabato (Grottolella, Montefredane, Capriglia Irpina, Altavilla Irpina), si racconta una leggenda per la quale il soprannome “sciampagna” deriverebbe dalla folgorazione al momento dell’assaggio da parte di un vignaiolo locale dopo che, per errore, la mela era stata irrorata da un po’ di Fiano. La mela zitella (individuata in particolare a Montemiletto e Sant’Andrea di Conza) era invece usata per fini cosmetici: le giovani donne (da qui il nome) la svuotavano della polpa che si spalmavano sulla pelle, utilizzando ciò che ne rimaneva come una candela, dopo averla riempita con olio di gelsomino, in modo da profumare gli ambienti.
Tornando alla valorizzazione delle mele d’Irpinia, mi sento di segnalare nel ristretto manipolo di coraggiosi custodi della biodiversità, sicuramente l’opera dei frati del Santuario di San Francesco a Folloni, a Montella, dove insistono ancora importanti varietà frutticole che sembravano perdute e che invece fanno bella mostra nel frutteto del magnifico complesso monastico (si va dalla classica cassanese alla giallorossa di San Francesco a Folloni).
Tra le aziende private che invece maggiormente hanno lavorato sul recupero delle specie di frutti dimenticati, tra cui anche le mele autoctone irpine, da segnalare l’Azienda Agricola “Il Poggio del Picchio”, Ambasciatore del territorio per Legambiente, molto attiva anche nella promozione della biodiversità frutticola locale. Chiunque fosse interessato ad una visita in azienda o nei frutteti tra Cesinali e Aiello del Sabato (per visite in azienda: 0825 667238 / info@ilpoggiodelpicchio.com) riscontrerà la passione per il territorio e l’ospitalità tipica del popolo irpino nella candida figura della titolare Francesca Russo.
Mi conforta pensare che grazie all’opera di questi coraggiosi custodi della biodiversità, ma anche ai produttori locali presenti nei numerosi mercatini organizzati in tutta la provincia, sia ancora possibile trovare con una certa facilità questi straordinari frutti della tradizione. Chi ha voglia di assaggiarla sappia che, oltre ad aiutare l’economia locale, assaporerà di certo un gusto pieno, autentico. E non importa che l’aspetto non è quello rassicurante (e standardizzato) delle mele che si vendono nei banchi del supermercato. Vuoi mettere la storia, la territorialità, la tradizione e il sapore di questo intramontabile simbolo dell’autunno irpino?