Una visita a Zungoli, all’azienda che ha sdoganato la Ravece grazie alla determinazione (mista a follia) di Pasquale Caruso e del suo staff. Dimensione artigianale e tanta lungimiranza: il mix vincente di San Comaio, l’azienda che per prima ha creduto nell’olio irpino
“Vero succo di oliva“. Si concentra qui, in questo laconico payoff, l’essenza dell’azienda San Comaio di Zungoli. Un motto che la dice lunga sulla filosofia aziendale, senza fronzoli, concreta, autentica. D’altronde è così che l’ha sempre immaginata il suo timoniere Pasquale Caruso, che insieme alla moglie Francesca dirige un’azienda che è orgoglio e vanto per l’Irpinia.
La prima azienda a esportare la Ravece fuori dai confini, a far conoscere l’Irpinia dell’olio a livello nazionale (e oltre), a credere nella comunicazione di qualità. Soprattutto una delle prime a sbugiardare la convinzione per cui l’olio va venduto solo in azienda, in circuiti ristretti, seguendo il vecchio refrain secondo cui “o vino buono si venne senza ‘a frasca“.
Una storia di lungimiranza, ma anche di coraggio, con un doppio salto si concretizza nel 2000. Oltre a spostare il fulcro dell’azienda nell’attuale sede in Contrada Carpineto, Pasquale investe tutti i guadagni di un’annata clamorosa (e non solo quelli) in marketing e pubblicità.
Con le bottiglie di un olio sconosciuto fuori provincia e le etichette fresche di stampa, San Comaio partecipa alle prime fiere di settore, incontrando da subito il favore degli esperti e dei clienti. “All’epoca le etichette erano un ‘fiorire di frasche’, noi provammo una via più snella e moderna. La nostra immagine colpì da subito, anche se la cosa che mi sorprese di più – racconta Pasquale Caruso – fu sapere che quasi nessuno sapesse che in Irpinia si produce olio! E questo nonostante, soprattutto in questa zona, facciamo olio di qualità da sempre”.
Una scelta, quella di investire in immagine, ma anche in innovazione (col passaggio nella nuova sede infatti la molitura a pietra lascia il posto ad un impianto continuo a freddo), che però non porta da subito i suoi frutti. “Inutile dire che in molti, specie della vecchia generazione, erano perplessi, anche perché i primi anni non furono affatto facili, tanto che nella seconda annata ci fu un crollo verticale rispetto alla precedente”. Investire sulla Ravece (in un’epoca in cui la DOP Colline dell’Ufita era ancora un sogno) significava certamente promuovere l’Irpinia nella sua essenza, ma anche andare incontro a difficoltà certe, dato che l’amaro e il piccante che caratterizzano da sempre questa cultivar spesso venivano scambiate per difetti.
Ma poi arrivano i premi. “Sapevo di fare un olio buono, perché nella mia azienda la passione dell’uomo asseconda la generosità del territorio, ma il primo ad essere sorpreso fui proprio io“. Arrivano i principali riconoscimenti per un’azienda di questo settore in Irpinia: l’Orciolo d’oro, Biol e soprattutto il più importante di tutti, l’Ercole Olivario (quest’ultimo ottenuto anche nel 2023) che danno la forza a Pasquale Caruso e ai suoi, di proseguire sulla strada intrapresa. Un successo che alla lunga è stato anche un aiuto per diffondere la cultura della Ravece e un modus operandi che negli anni ha fatto scuola, consentendo a tutto il comparto di fare importanti passi avanti. “La mia maggiore soddisfazione è aver cominciato questo percorso, che ha fatto da apripista nel settore“, continua Caruso. Tanto che San Comaio diventa il punto di riferimento per altri marchi: “Senza peccare di modestia, posso dire che per un periodo chi voleva l’olio buono veniva qui”.
Durante la mia visita in azienda, oltre alla grande pazienza e disponibilità, quello che mi ha più colpito è l’amore di Pasquale per il suo territorio. Quello stesso sentimento che lo ha portato a scendere in campo in prima persona per la sua amata Zungoli, a partecipare ad associazioni di valorizzazione, a organizzare eventi.
Un amore autentico e disinteressato. E una passione incorruttibile, quella per la vocazione artigianale del suo operato e dunque della sua azienda: “I margini di crescita ci sono, ma non snaturerò mai la mia natura”. L’obiettivo è fare prodotti di qualità, lasciando inalterati gli standard che da sempre vengono perseguiti “fin da quando mio padre ha iniziato a produrre olio, circa 50 anni fa. Non a caso ‘San Comaio’ è il nome della contrada tra Zungoli, Villanova del Battista e Flumeri, dove abitavano i miei nonni e in cui ho trascorso l’infanzia. Mi piaceva il nome ed il legame con questo posto, anche perché il nuovo frantoio e gran parte degli oliveti si trovano ancora lì. Le olive sono tutte di proprietà, sparse tra appezzamenti e areali speciali, a cui si uniscono forniture da parte di piccoli produttori, reclutati nel raggio di pochi chilometri.”
Nonostante i traguardi raggiunti, l’azienda continua ad evolversi, non disdegnando qualche sperimentazione. “A Zungoli da sempre esiste un’oliva autoctona, esclusiva, dal sapore e dalla polpa delicati, che abbiamo sempre chiamato San Francesco. Una cultivar antica che cercheremo di tutelare con un Presidio Slow Food”. Un tipo di oliva dal sapore talmente delicato che, unita alla marinese, forma un blend che San Comaio propone come alimento riservato ai bambini. L’olio si chiama Gretel, è biologico e segue procedure speciali per la conservazione del corredo vitaminico. Gretel è solo uno degli olii proposti da San Comaio. Tanti blend per altrettante sfumature, dal forte Roboris, al biologico Proverbio, passando per il Caruso, con sole olive accuratamente selezionate, fino ad arrivare alla DOP di Hirpinia, al Gran Cru Macchia Columbra, un cru fatto con le olive di una particella posta nella parte più alta di Zungoli, a 700 metri d’altitudine. E poi c’è il mio preferito, quello che secondo me esprime al meglio il territorio irpino, quello che a crudo a momenti metto pure nel cappuccino, lo Zahir, la storica etichetta di solo Ravece, da sempre il fiore all’occhiello di San Comaio.
Sul futuro Pasquale ha tanti progetti: oltre alla prossima impegnativa raccolta, che quest’anno sembra essere molto precoce considerato il clima, San Comaio a breve si doterà di una nuova sala degustazione e sarà ancora protagonista nel settore dell’oleoturismo. Insomma un moto perpetuo, calmo ma efficace, un vulcano d’idee pronto ad esplodere con nuove sfide, gettandosi a capofitto in nuovi e vecchi progetti, come il “Ravece food festival” che quest’anno torna, a Zungoli, a metà ottobre. Sempre col fine di valorizzare il territorio, sempre nel segno della coerenza e della laboriosità, per un uomo ed un’azienda che sono testimoni esemplari dell’Irpinia più autentica.